Pistoia, la “piccola Santiago”

Pistoia, la “piccola Santiago”

LA “PICCOLA SANTIAGO”

L’origine del culto del San Giacomo nella città di Pistoia ha radici antiche: nell’anno 849, in vista di una temuta invasione dei Saraceni che già stavano alle porte di Roma, gli abitanti della città invocarono la protezione dell’apostolo, come erano usi fare nei momenti di disperazione. La città fu risparmiata e quale ringraziamento i pistoiesi edificarono, dopo qualche tempo, una piccola chiesa presso il Castellare, un fortilizio eretto nella prima cerchia delle mura. La chiesina di San Jacopo in Castellare venne nominata, dal volgo, San Jacopino.   Nel 1784 venne utilizzata come sede di un lanificio dove lavoravano le fanciulle povere ospitate nelle vicine Scuole Leopoldine. Della chiesa rimangono poche tracce della facciata sullo strada acciottolata in pendenza detta “sdrucciolo del Castellare”.

Le fonti storiche raccontano che nel 1113 divenne vescovo della città un monaco spagnolo, formatosi nella scuola della Congregazione Vallombrosiana, che per la sua condotta esemplare, prima come semplice monaco e poi quale vescovo, dopo la sua morte fu dichiarato santo con il nome di Sant’Atto. In quel periodo la città viveva un complicato periodo storico: con l’intento di conciliare il potere del Comune con quello della Chiesa il sant’uomo si fece promotore del recupero di una reliquia del Santo Apostolo dalla Gran Cattedrale di Santiago de Compostela, dove si trovava sepolto. In quella città insegnava, nel ruolo di Scholae Magister, un ecclesiastico di nome Ranieri, diacono di origini pistoiesi. Per intercessione di questi, il Vescovo di Santiago Gelmirez consentì di aprire un poco il sarcofago che custodiva il corpo dell’Apostolo.  Fu prelevata una ciocca di capelli dalla parte posteriore del cranio con una parte di cute e un frammento osseo.

Mediovillano e Tebaldo furono i due nobili messaggeri pistoiesi ai quali fu affidato il compito di riportate in città il prezioso reperto. Vi giunsero nel luglio del 1144, accolti da grandi manifestazioni di devozione, dando inizio così alla tradizione del culto Jacobeo in Pistoia.
Per la custodia delle reliquie il vescovo Atto dispose la costruzione di una cappella all’interno della Cattedrale di San Zeno e di un altare d’argento.  Pistoia divenne  meta di numerosi pellegrinaggi con notevoli ricadute economiche, come era nei progetti del vescovo: i benefici economici resero più solida l’unione tra vescovado e comune.   Nel 1395 vigendo in Pistoia il vescovo Andrea Franchi, fu concessa, dal Papa Bonifacio IX un’indulgenza alla Cappella di San Jacopo.

L’Opera di San Jacopo ebbe origine per l’amministrazione delle offerte e per l’organizzazione delle celebrazioni, sia laiche che religiose, legate al culto del Santo. Ordinamenti di popolo si occupavano dei festeggiamenti: la Cattedrale era adornata internamente con festoni di verzura, rami di bosso, allori e rose. Si procedeva alla presentazione del tesoro, si correva il palio, si organizzava una fiera e una pantagruelica colazione. In occasione delle celebrazioni era usanza rilasciare alcuni prigionieri e distribuire cibo ai poveri. All’esterno la cattedrale era addobbata con tralci di uva e  rami di mele: ”uva saiacopa” e “mele saiacope” considerate dono del Santo.

Tradizionale è il rito della vestizione: si pone sulle spalle della statua dell’Apostolo, posta sul lato destro della facciata del Duomo, una mantellina di colore rosso. Leggenda vuole che San Giacomo, prima di passare alla vita spirituale, fosse sensale di cavalli e usasse rimandare i pagamenti alla stagione calda. Così, pur essendo in piena estate, ad un creditore che lo avvicinò per riscuotere il santo si presentò avvolto in un pastrano rosso fingendo un gran freddo e rimandando il pagamento “a tanto caldo”. E’ questa infatti ai nostri giorni, locuzione tipica pistoiese per indicare pagatori disonesti.    Al manto rosso si attribuisce inoltre significato di riconciliazione tra città e campagna, mondi spesso in conflitto ed ancora questo colore riporta alla fusione tra mondo laico e religioso quale colore della passione e del martirio.

Oggi notevole attrattiva laica è il palio Giostra dell’Orso che ha luogo il 25 Luglio, tre giorni dopo il rito della vestizione. Si tratta di un torneo equestre tra i quattro rioni cittadini che si danno battaglia in una gara di abilità nella incantevole Piazza del Duomo. In passato sotto il porticato del Duomo, per proteggere i fedeli dal sole, veniva steso un grandissimo telo dipinto a scacchi  e con conchiglie di San Giacomo.  Non è più in uso la tradizione di una lauta colazione che veniva servita alle autorità civiche, al vescovo e agli alti prelati.

La storia narra che in principio erano serviti frutta, pane, vino e berlingozzi, tipici tarallucci al gusto d’anice.  Con il passare degli anni diventò regola offrire confetti, finocchiata (salume tipico Toscano, con un leggero sentore di finocchio) e rinfreschi di trebbiano (il celebre vino) e ancora, nei secoli successivi, confetture, cialdoni (dolci particolarmente amati da Lorenzo il Magnifico, ai quali dedicò un componimento noto come la “Canzona de’ Cialdoni” pistacchi, frutta candita, vino greco, malvasia e trebbiano. Il rituale prendeva il nome di Colazione zuccherina ed ebbe definitivamente termine nel 1777.

Il riconoscimento del corpo grazie alla reliquia

La reliquia di San Giacomo custodita nel Duomo di Pistoia ebbe un ruolo importante nei confronti della tomba dell’Apostolo in Santiago. Una storia che merita di essere narrata.

Dopo aver fatto opera di evangelizzazione in Galizia, Giacomo tornò in Palestina dove fu decapitato per ordine di Erode Agrippa nell’anno 44. E’ leggenda che i suoi discepoli, con una barca, guidata da un angelo, ne trasportarono il corpo nuovamente in Galizia per seppellirlo in un bosco vicino ad Iria Flavia, il porto romano più importante della zona (oggi Padron). Persecuzioni e proibizioni di visitare il luogo fecero perdere memoria della tomba sino a che, nel 813 l’eremita Pelagio, preavvertito da un angelo, vide strane luci simili a stelle sul monte Libredòn. Il vescovo Teodomiro, interessato dallo strano fenomeno, scoprì in quel luogo una tomba, probabilmente di epoca romana, che conteneva tre corpi, uno dei tre aveva la testa mozzata ed una scritta: “Qui giace Jacobus, figlio di Zebedeo e Salomé”. Successivamente il corpo fu condotto in Santiago, edificata la Cattedrale e li custodito. Il prelievo della reliquia ora custodita a Pistoia, su concessione del vescovo di Santiago Gelmirez avviene anteriormente al luglio 1144, epoca in cui Tebaldo e Mediovillano rientrano a Pistoia.
A Santiago, per diversi motivi, si rese  necessario spostare i resti dell’Apostolo in diverse occasioni. Una di queste fu a fronte della minaccia dei pirati del XVI secolo, quando cercarono di sbarcare a La Coruña. Di fronte al pericolo di distruzione e profanazione della tomba dell’Apostolo, fu costruito un piccolo cubicolo sul retro dell’altare principale dove vennero nascosti i resti, che così scomparvero per diversi anni fino a quando il cubicolo non fu scoperto nel 1884. Come racconta Don Luca, Arciprete della Cattedrale di San Zeno, l’incertezza sulla identità del corpo fu risolta verificando che dal cranio mancava proprio il piccolo ossicino parietale custodito a Pistoia.
Non mancano dubbi sul fatto che i resti siano davvero dell’apostolo ma di sicuro sono quelli da cui venne tratta la reliquia nel 1144.

Qui di seguito le formelle poste sul lato destro dell’altare d’argento e che ricordano episodi della vita di San Giacomo.